Siamo tutti là fuori...
Il Mamamia. Il mio primo locale gay, dove ho fatto il mio magistrale ingresso nella vita di società. Dio mio, quante notti, quanti finesettimana passati a ricaricarsi, a fuggire in quel mondo-altro per poi scoprire che piano piano, più passa il tempo più quel mondo ti invade, ti conquista, ti cattura... Perché il Mama ti travolge ed è una valanga che non puoi fermare, una volta scoperta. Ti travolge fino a diventare inscindibile da te stesso. Un mondo che non è parte integrante della tua vita, ma è la tua vita stessa. Perché col tempo hai imparato ad esportare quell'originalità, quella voglia di vivere, quella travolgente simpatia e calorosità nella tua vita di tutti i giorni, per colorare un po' di arcobaleno il grigiore del lavoro, della città, della ripetitività quotidiana, di tutto ciò che non è Torre del Lago. Il Mama è un locale dove i gay non vanno per scopare, ma per trovare amici, per chiacchierare, per conoscersi. E questo light-motif è stato fondamentale agli occhi di una persona come me, lontana anni luce dagli stereotipi del frocetto medio, per convincermi ad avvicinarmi finalmente a qualcosa che somigliasse all'ambiente. Il famoso ambiente gay, che sembrava ai miei occhi un universo a parte, emarginato e ghettizzato per sua intrinseca natura. E invece ecco: Torre del Lago, una realtà integrata (più o meno... almeno a priva vista: perché poi, si sà, i problemi ci sono, eccome; e l'integrazione non è che un punto fisso, a cui si tente costantemente e mai si raggiungere a pieno). Un realtà in cui i gay sono essi stessi il tessuto della società, sono il fluido vitale di quel piccolo sperduto comune. Se qualcuno ha osato paragonare Torre del Lago a Sitges ci sarà stata pure una ragione. La terra promessa. Già. Se c'è stata una cosa che il Mama mi ha regalato, mi ha saputo insegnare è stata questa: che non c'è bisogno di rifugiarsi il sabato sera in un posto, in un locale, in un ghetto per poter vivere la propria vita. Perché è la nosta vita e non può andare in onda solo il sabato sera al Mama o all'Hub. Il Mama mi ha insegnato l'orgoglio di essere ciò che sono. Quasi una terapia psicologica, per farmi aprire gli occhi finalmente sul mondo che mi appartiene e completare quel lungo, faticoso processo verso l'accettazione di sé. Se ora, a distanza di due anni, vado in giro per strada a testa alta, con la spilletta a forma di fiocco rosso e il laccetto del Mamamia penzoloni dai jeans; se oggi non ho paura né vergogna di passeggiare mano nella mano con il mio ragazzo... beh, devo ringraziare anche quella realtà che mi ha fatto nascere per la seconda volta. |

































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